1990 – Franco Batacchi parla dello stile artistico di Magnolato:
“L’inevitabile confronto di produzioni di Magnolato, disseminate lungo quarant’anni d’inesausta attività, impressiona per rigore di ricerca e inimitabile coerenza. Il diario aperto nell’immediato dopoguerra continua tuttora a sfogliare pagine di memoria e di vita.
L’artista prosegue nella costruzione di un’autentica epopea. I suoi personaggi, nati nel solco di un realismo europeo che in Italia ha dato alti esiti in Pizzinato e tuttora trova convincenti echi nelle risentite ecloghe di Zigaina, sono andati progressivamente ad integrarsi nel loro ambiente. Figure e nature morte -soggetti usuali che avrebbero garantito sicure fortune commerciali, sempre eluse da Magnolato – sono confluite in unificanti paradigmi: pannocchie, girasoli, fronde, erbe di terra e di barena si sono organizzati in nuclei di forza immersi in drammatiche veglie notturne o, recentemente, folgorati da vivide luci crepuscolari. Da viluppi di materia vegetale emergono segnali di vita, volti umani (nuova e frequente l’apparizione femminile), mani vissute, autoritratti. Uomo e natura si confondono nel mito. Ad una prima, superficiale osservazione la tecnica pittorica sembra procedere per accumuli: da zone piatte, trattate a larghe campiture, partono vettori di forza che si addensano progressivamente verso il magma pulsante, baricentro della composizione. Segni guizzanti e bagliori descrittivi accrescono l’illusione di un racconto intarsiato, che ipnotizza il riguardante in viluppi concentrici. Tuttavia un’analisi più attenta rivela che il procedimento è opposto. Magnolato, incisore di vaglia, ha profonde radici di pittore: dunque, il disegno e la struttura segnica fanno da impalcatura, traliccio, sostegno, ma risultano successivamente invasi e sovrastati dalle superiori ragioni del colore-luce. E a ben vedere , anche l’opera grafica dell’artista – pur tecnicamente inappuntabile e, per certi aspetti, mirabilmente certosina rientra nel grande alveo della pittura per l’estesa gamma delle soluzioni timbriche originate da un uso “!uministico” del reticolo e impreziosite dal ricorso virtuosistico a tutte le possibilità cromatiche comprese tra il bianco e il nero, ivi inclusi gli effetti indotti dalla cromia di base del supporto cartaceo.
È proprio in questo costante richiamo alla preminenza del colore che va rintracciato il sotterraneo, ma tenace collegamento tra l’arte di Cesco Magnolato e la tradizione veneta. Con un’avvertenza: la sua pittura nulla ha (fortunatamente) da spartire con il deteriore vedutismo che in questo secolo ha zavorrato la produzione artistica locale sulla nobile e malintesa scia della Scuola di Burano. Semmai, di quella lezione che attingeva a fonti lontane, ha saputo catturare il retrogusto più segreto e pregnante, la dinamica costruzione pre-gestuale di Gino Rossi.
Nell’impianto di ogni opera coesistono almeno due elementi-chiave: assenza di ortogonalità e verifica di una referenza (palese o celata) di matrice figurativa. Entrambi ci riportano alla grande lezione dell’Espressionismo. Ma l’evidenza del richiamo non consente facili scorciatoie. Infatti Magnolato riesce a mediare tra due poli storici (Nolde da un lato, La Bruche di Kirchner dall’altro) proprio in virtù di attuali istanze emotive. Il guado che separa l’urgenza tematica dalla rappresentazione didascalica è tra i più ardui e infidi; viene superato col ricorso ad un geniale escamotage. Soltanto in arte il fine giustifica i mezzi e Magnolato non bara, quando evita le secche del neoespressionismo tramite un’inimitabile e moderna interpretazione della pittura futuristica …”.