1977 – Gino Nogara: “La visione di Magnolato”
“Quando, nel 1954, gli fu assegnato dalla Biennale il premio nazionale per l’incisione, Cesco Magnolato contava ventisette anni, insegnava già all’Accademia di Venezia ma era appena conosciuto in una ristretta cerchia di amici ed estimatori. Il premio della Biennale, alla quale era stato ammesso per accettazione, non per invito, lo balzò in primo piano nell’attenzione della critica sorpresa dalla forte personalità dell’artista veneziano, da un talento grafico che imponeva, con la propria maturità tecnica, un mondo poetico definitamente caratterizzato.
Non era ancora chiusa la stagione del realismo con le sue implicazioni ideologiche e sociali, e Magnolato, senza scadere nella formula, mostrava di essere sensibile alle istanze di essa. La sua era peraltro una adesione compiuta in piena autonomia, motivata da ragioni interiori, sicuramente non contingenti se oggi, a distanza di vent’anni, esse continuano a sostentare in misura consistente un discorso impostato sull’uomo e sulla natura con una coerenza stilistica ed espressiva che va definita esemplare.
Magnolato non descrive, egli rappresenta; non contempla, egli interpreta e testimonia. Il paesaggio veneto, sottratto all’arcadia romantica e all’elegiaco, diventa in lui spazio scenico, di dramma.
Negli ultimi anni, come rileva Giorgio Trentin nella presentazione di una recente antologica pordenonese dell’artista, egli viene avvertendo la tragedia sconvolgente dell’abbandono progressivo delle terre e del loro spopolamento, della fuga crescente dalle campagne in crisi, immerse ogni giorno di più nell’immensità di una solitudine dilagante.
Il linguaggio adottato dal nostro incisore si distingue per i fondi neri e grigi, conseguenti al clima istituito e fortemente contrastanti con il bianco, che però è luce e colore, tanto che Virgilio Guidi, che sappiamo ben sensibile al problema della luce, scrive che << nelle tavole di Magnolato è splendore nel senso agostiniano e non mortificazione di nero su bianco >>. Noi vediamo la realtà passata al filtro di una memoria onirica.
L’effetto è sovente quello della visione, con immagini che si sovrappongono scorrendo trasparenti le une sulle altre. E’ questa anche la dimensione poetica dell’artista veneziano il quale riesce a indurre nelle proprie acqueforti e acquetinte una carica evocativa straordinaria e una forza di suggestione che non scaturisce solo dal mezzo tecnico, dai valori formali, ma soprattutto da ragioni comunicative profondamente sentite e meditate.
E’ un rapporto sull’uomo, nella fatica, nell’umile lotta per l’esistenza e per la libertà, rapporto secco e vibrante a un tempo, alieno da indulgenze ideologiche, da programmati intenti didattici. Narratore per immagini con spiccata inclinazione al fantastico, Magnolato cerca in ogni sua opera di realizzare un fatto creativo, si tratti di rappresentare dei girasoli – che nella sua iconografia tengono il posto quasi di un’impresa araldica – o i cartocci del granoturco, o le umane figure dei contadini diseredati, dei partigiani uccisi, di giovani innamorati.
Occorre sottolineare che l’inclinazione al fantastico, risolventesi spesso in figurazioni allucinate, di visionaria spettralità, non porta l’artista ad evadere dalla realtà o ad eluderla. Anzi, la realtà acquisisce dal carattere soggettivo di un siffatto modo di rappresentare un potere di sollecitazione tematica del tutto singolare, pregno di significazioni attuali, d’ordine sociale, politico e soprattutto umanitario. Le figurazioni di Cesco Magnolato hanno fra l’altro una componente dinamico-plastica che conferisce loro una netta identificabilità in accordo con i soggetti assunti. Costruite per lo più sulla diagonale, paiono investite e prese e trascinate dal vento, talora in vortice. Oltre che un dato grafico, strutturale ed espressivo di sicura efficacia, è da vedersi in essa uno strumento simbolico che accresce i valori iconologici, che carica di autentico pathos quelle figurazioni con le quali l’artista partecipa una propria concezione drammatica del mondo e dell’esistere.”